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Le Avventure di Pinocchio - capitolo 10

17. Mai 2021

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LE AVVENTURE DI PINOCCHIO 
di Carlo Collodi

capitolo 10

I burattini riconoscono il loro fratello Pinocchio e gli fanno una grandissima festa; ma sul più bello esce fuori il burattinaio Mangiafuoco, e Pinocchio corre il pericolo di fare una brutta fine.


Quando Pinocchio entrò nel teatro delle marionette, accadde un fatto che destò una mezza rivoluzione. Bisogna sapere che il sipario era tirato su, e la commedia era già incominciata.
Sulla scena si vedevano due burattini: Arlecchino e Pulcinella, che bisticciavano fra di loro e, come al solito, minacciavano di scambiarsi schiaffoni e bastonate.
La platea tutta attenta, si faceva delle grandi risate, nel sentire il battibecco di quei due, che gesticolavano e si insultavano con tanta verità, che parevano due persone vere.

Quando all’ improvviso, Arlecchino smise di recitare, si voltò verso il pubblico, e accennò con la mano a qualcuno proprio in fondo alla platea. Poi, cominciò ad urlare in tono drammatico:

— Numi del firmamento! Sogno o son desto? Eppure quello laggiù è Pinocchio!...
— È Pinocchio davvero! — gridò Pulcinella.
— È proprio lui, è proprio lui! — strillò la signora Rosaura, saltando fuori da dietro la scena.
— Pinocchio! Pinocchio! Pinocchio! Pinocchio! — urlano adesso in coro tutti i burattini, saltando fuori a grossi salti dalle quinte.
— Pinocchio! Il nostro fratello Pinocchio! È il nostro fratello, evviva Pinocchio!...

— Pinocchio, vieni quassù, vieni quassù con noi! — grida Arlecchino — vieni a gettarti fra le braccia dei tuoi fratelli di legno! —

A questo affettuoso invito, Pinocchio spicca un salto, e dal fondo della platea salta nei posti distinti; poi con un altro salto, finisce proprio in testa al direttore di scena, e di lì schizza sul palcoscenico.
È impossibile figurarsi tutti gli abbracci e i pizzicotti, e le zuccate di vera e sincera fratellanza, che Pinocchio ricevette in mezzo a tanto amore di attori e attrici di quella compagnia drammatico-burattina. 

Questo spettacolo era commovente, senza ombra di dubbio, ma il pubblico della platea, vedendo che la commedia non andava più avanti, s’impazientì e cominciò a gridare:

— Vogliamo la commedia! Vogliamo la commedia! —

Tutto fiato sprecato, perché i burattini, invece di continuare la recita, raddoppiarono il chiasso e le grida, e, messo Pinocchio sulle loro spalle, lo portarono in trionfo.

Allora uscì fuori il burattinaio, un omone così brutto, che metteva paura soltanto a guardarlo. Aveva una barbaccia nera come uno scarabocchio d’inchiostro, e tanto lunga, che gli scendeva dal mento e arrivava fino a terra: basta dire che quando camminava se la calpestava con i piedi. 
La sua bocca era larga come un forno, i suoi occhi parevano due lanterne di vetro rosso; e le mani, con le mani schioccava una grossa frusta, fatta di serpenti e code di volpe attorcigliate insieme. 

All’ apparizione inaspettata del burattinaio, tutti ammutolirono: nessuno fiatò più. Si sarebbe potuto sentire volare una mosca. Quei poveri burattini, maschi e femmine, tremavano come tante foglie.

— Perché sei venuto a mettere lo scompiglio nel mio teatro? — domandò il burattinaio a Pinocchio, con un vocione da Orco.
— La creda, illustrissimo, che la colpa non è stata mia!... 
— Basta così! Stasera faremo i nostri conti. 

Difatti, finita la recita della commedia, il burattinaio andò in cucina, dove si era preparato un bel montone, che girava lentamente infilato nello spiedo. E dato che gli mancava la legna per finirlo di cuocere e rosolare, chiamò Arlecchino e Pulcinella e disse loro:

— Portatemi quel burattino, lo troverete fuori, attaccato al chiodo. Mi pare un burattino fatto di un legname molto asciutto, e sono sicuro che a buttarlo nel fuoco, mi darà una bellissima fiammata all’ arrosto. 

Arlecchino e Pulcinella da principio esitarono; ma impauriti da un’occhiataccia del loro padrone, obbedirono: e tornarono quindi in cucina portando il povero Pinocchio, il quale strillava disperatamente: 

— Babbo mio, babbo mio, salvami! Babbo, salvami ti prego! Non voglio morire, no, no, non voglio morire!...
27. Februar 2021
LE AVVENTURE DI PINOCCHIO di Carlo Collodi capitolo 9 Pinocchio vende l’Abbecedario per andare a vedere il teatro dei burattini. Non appena smise di nevicare, Pinocchio, col suo bell´Abbecedario nuovo sotto il braccio, prese la strada che conduceva a scuola e strada facendo, fantasticava nel suo cervellino mille ragionamenti e mille fantasie, una più bella dell’altra. E tra sé e sé, diceva: Oggi, a scuola, voglio subito imparare a leggere: domani poi imparerò a scrivere, e domani l’altro imparerò a fare i numeri. Poi, con la mia abilità, guadagnerò molti quattrini e coi primi quattrini che mi verranno in tasca, voglio subito comprare al mio babbo una bella casacca di stoffa pregiata. Sì, gliela voglio fare tutta d’argento e d’oro, e coi bottoni di brillanti. Quel pover’uomo se la merita davvero; perché insomma, per comprarmi i libri e per farmi istruire, è rimasto in maniche di camicia.... con questo freddo! Oh che bravo che è il mio babbo, che sacrifici che fa per me!... Babbo, babbo mio! - Mentre tutto commosso diceva così, gli parve di sentire in lontananza una musica di pifferi e di colpi di grancassa: pì-pì—pì, pì-pì—pì, zum, zum, zum, zum. Si fermò e stette in ascolto. Che cos´è questa musica? Peccato che io debba andare a scuola, se no.... - E rimase lì perplesso. Ad ogni modo, bisognava prendere una decisione; andare a scuola? Oppure andare a sentire i pifferi? Oggi andrò a sentire i pifferi, e domani a scuola. Per andare a scuola c’è sempre tempo. – disse alla fine il monello, facendo spallucce. Allora prese la strada traversa e cominciò a correre a gambe levate. Più correva e più sentiva forte il suono dei pifferi e dei tonfi della grancassa: pì-pì—pì, pì—pì-pì, pì-pì—pì, zum, zum, zum, zum. Quand’ecco che si trovò in mezzo ad una piazza tutta piena di gente, la quale si affollava intorno ad un gran baraccone di legno e di tela dipinta di mille colori. Che cos’è quel baraccone? - domandò Pinocchio, voltandosi verso un ragazzetto del paese. Leggi il cartello, che c’è scritto, e lo saprai subito! - Lo leggerei volentieri, ma non so leggere, oggi... sì, proprio oggi non so leggere. - Bravo bue! Allora te lo leggerò io. Sappi dunque, che in quel cartello a lettere rosse come il fuoco, c’è scritto: GRAN TEATRO DEI BURATTINI .... - È la commedia, da quanto tempo è incominciata? - Comincia ora. - E quanto si spende per entrare? - Quattro soldi. - Pinocchio preso dalla curiosità, non riusciva proprio a resistere più e, perso ogni ritegno, disse al ragazzetto senza vergognarsi : Mi daresti quattro soldi fino a domani? - Te li darei volentieri, ma proprio oggi non te li posso dare - gli rispose l’altro prendendolo in giro. Per quattro soldi ti vendo la mia giacchetta – gli disse allora il burattino. Che vuoi che me ne faccia di una giacchetta di carta fiorita? Se ci piove sopra, non c’è più verso di levarsela di dosso. - Vuoi comprare le mie scarpe? - Sono buone per accendere il fuoco. - Quanto mi dai per il berretto? - Bell’affare proprio! Un berretto di mollica di pane... capacissimo che i topi me lo vengano a mangiare in testa! - Pinocchio si sentiva sulle spine. Ed ora era lì lì per fare l’ultima offerta... ma non aveva il coraggio: esitava, tentennava, pativa. Alla fine, risoluto disse: Vuoi darmi quattro soldi per quest’Abbecedario nuovo? - Io sono un ragazzo e non compro niente dai ragazzi – gli rispose allora il suo piccolo interlocutore, che a quanto pare aveva ben più giudizio di lui. Per quattro soldi l’Abbecedario lo prendo io – gridò un rivenditore di panni usati, che s’era trovato presente alla conversazione. E il libro fu venduto in quattro e quattr´otto. E pensare che quel pover’uomo di Geppetto era rimasto a casa in maniche di camicia a tremare dal freddo, per comprare l’Abbecedario al suo figliuolo!
31. Dezember 2020
La Piccola Fiammiferaia di Hans Christian Andersen Faceva un freddo orribile; nevicava e cominciava a fare buio. Era anche l´ultima sera dell'anno, la vigilia di Capodanno. In quell´oscurità e in quel freddo, una povera bambina camminava per la strada, col capo scoperto e a piedi nudi; sì, aveva le pantofole quando era uscita di casa, ma a che servivano! Erano pantofole talmente grandi, enormi, sua madre le aveva usate per ultima, e la piccola le aveva subito perse, attraversando in fretta la strada, per evitare due carrozze che passavano spaventosamente veloci. Una delle pantofole non si trovava più da nessuna parte, mentre l´altra... beh, un ragazzo se ne era già scappato con l'altra; festeggiando e vantandosi che avrebbe potuto usarla come culla un giorno, quando avesse avuto dei figli. Così la bambina camminava sui suoi piedini nudi e delicati, che erano diventati ormai rossi e blu a causa del freddo. Portava raccolti in un vecchio grembiule una grande quantità di fiammiferi, tenendone in mano un piccolo mazzetto. Nessuno però aveva comprato niente da lei per tutto il giorno; nessuno le aveva dato un soldino. Affamata e infreddolita camminava ancora su e giù per la via e appariva così fragile e intimidita. I fiocchi di neve cadevano intanto sui suoi lunghi capelli biondi, che si arricciavano meravigliosamente intorno al collo, ma lei non riusciva a pensare davvero a questo suo splendore, povera piccola! Da tutte le finestre, provenivano luci meravigliose e brillanti e la strada silenziosa profumava squisitamente di oca arrostita; era la vigilia dell´anno nuovo, sì, la bambina ci stava pensando. In un angolo tra due case, una sporgente un po' più dell'altra, si era ora seduta e accovacciata sulle sue gambette scoperte; ma questo la faceva gelare ancora di più. Non osava nemmeno tornare a casa. Dopotutto, non aveva venduto nessun fiammifero, non aveva guadagnato neppure un soldo. Suo padre l´avrebbe picchiata, e del resto anche a casa faceva freddo; avevano solo il tetto sopra di loro, e ci fischiava il vento, benché avessero infilato paglia e stracci un po' ovunque nelle fessure più grandi. Le sue manine erano così tutte intorpidite dal freddo. Un fiammifero, uno solo, forse le avrebbe dato un po´ di conforto. Bastava che ne tirasse fuori uno dal mazzetto e lo sfregasse contro la parete per per scaldarsi le dita. Mah si, ne prese fuori uno, e ...Ritsch! Che fiammata che fece, come brillava, come bruciava! Mandava una luce chiara e calda, come una piccola candela accesa... la bambina cercava di proteggere questa candela con la mano. Era una luce strana: alla bimba sembrò di essere seduta davanti ad una grande stufa di ferro, adornata con pomelli di ottone. Come riscaldava la fiamma, il fuoco bruciava così gloriosamente il tutto e tutto si scaldava, si riscaldava, la bambina non aveva freddo. Ma che succedeva? Ad un certo punto, quando proprio la bambina stava già allungando i piedi per riscaldarli finalmente, la candela si spense, la fiamma volò via . La stufa era di colpo sparita; la bambina rimase lì, seduta in terra, con un pezzettino di legno bruciato in mano. Ne accese uno nuovo. Bruciava, brillava, e dove il bagliore cadeva sul muro, questo diventava trasparente come un velo; la bambina poteva ora guardare nel soggiorno della casa: c´era una grande tavola apparecchiata con una tovaglia bianca splendente, e piatti di porcellana fine. Un´oca arrosto farcita di prugne e mele, fumava deliziosamente sulla tavola! Ma la cosa più straordinaria, ancora, la cosa più straordinaria di tutte era che l'oca ad un certo punto balzò giù dal tavolo e si aggirò per il salotto, con il coltello in mano e la forchetta nella schiena; si mise a camminare verso la bambina; ma proprio in quel momento il fiammifero si spense, e davanti ai suoi occhi rimase solo il gran muro freddo della casa di fronte. Ne accese quindi un altro, e come per incanto apparve un albero di Natale bellissimo, meraviglioso: il più bello che si possa immaginare, con mille candele che bruciavano sui rami verdi, e immagini dai colori vivaci, come quelle che adornavano le vetrine dei negozi; le immagini la fissavano dall'alto in basso. La piccola allungò le manine verso di esse, ma niente, anche questa volta il fiammifero si spense; le tante luci del Natale salirono in alto, in cielo, sempre più in alto, erano diventate stelle luminose; una di esse cadde, lasciando una lunga striscia di fuoco dietro di sé. - Ora qualcuno sta morendo - disse la bambina, perché la sua vecchia nonna, l'unica persona che era stata veramente buona con lei, e ormai era morta, le aveva detto: "Quando una stella cade, un´anima sale verso Dio". Sfregò subito un altro fiammifero contro il muro, e tutto intorno cominciò a rischiararsi di nuovo, e nel bagliore apparve questa volta la vecchia nonna: aveva un aspetto così dolce, chiaro, radioso. - Nonna! - gridò la bambina, - Nonna, portami con te! Lo so che appena il fiammifero si spegne, tu sparirai, nonna, così come la stufa calda, e l´oca arrosto, e il bellissimo albero di Natale! - e sfregò in fretta uno dopo l´altro il resto dei fiammiferi del mazzo, voleva trattenere la nonna con sé ancora per un po´ ; e i fiammiferi bruciarono con un bagliore tale, che l´aria fu più chiara, così chiara che come in pieno giorno. Non era mai stata così bella la nonna, così grande; ed ora la nonna la prese, la sollevò fra le sue braccia ed entrambe, felici e splendenti, volavano in alto, sempre più in alto, nella radiosità e nella gioia del cielo. Lassù, non c'era più freddo, non c'era più fame, non c'erano più angoscia e paura, lassù in alto, ora si trovavano accanto Dio! Nell'ombra fredda del mattino, all´angolo tra due case, sedeva una bambina con le guance rosse e il sorriso sulle labbra, morta, morta congelata nell'ultima sera dell'anno. Il mattino di Capodanno era sorto sopra il suo piccolo corpo, che stringeva ancora tr a le mani i fiammiferi, di cui un mazzetto era tutto bruciato. Aveva cercato di scaldarsi, dissero; nessuno sapeva le cose belle che la piccola aveva visto quella notte, e in quale splendore fosse andata ora insieme con la nonna a festeggiare il suo Capodanno.
29. Dezember 2020
LE AVVENTURE DI PINOCCHIO di Carlo Collodi capitolo 8 Geppetto rifà i piedi a Pinocchio, e vende la propria casacca per comprargli l’Abbecedario. Il burattino, una volta passata la fame, cominciò subito a brontolare e a lamentarsi, perché voleva un paio di piedi nuovi. Ma Geppetto, per punirlo della monelleria fatta, lo lasciò piangere e disperarsi per una mezza giornata; poi gli disse: - E perché dovrei rifarti i piedi? Forse per vederti scappare di nuovo da casa tua? - - Vi prometto - disse il burattino singhiozzando - che da oggi in poi sarò buono.... - - Tutti i ragazzi quando vogliono ottenere qualcosa, dicono così. - replicò Geppetto - Vi prometto che andrò a scuola, studierò e mi farò onore.... - - Tutti i ragazzi, quando vogliono ottenere qualcosa, ripetono la stessa storia. - - Ma io non sono come gli altri ragazzi! io sono più buono di tutti, e dico sempre la verità. Vi prometto, babbo, che imparerò un mestiere, e che sarò la consolazione e il bastone della vostra vecchiaia. - Geppetto che, sebbene facesse lo sguardo duro da tiranno, aveva gli occhi pieni di lacrime e il cuore grosso dal dispiacere nel vedere il suo povero Pinocchio in quello stato compassionevole, senza più i suoi piedini, non disse altre parole: ma, presi in mano gli arnesi del mestiere e due pezzetti di legno stagionato, si mise lavorare con grandissimo impegno. E in meno di un’ora, i piedi erano belli e fatti: due piedini svèlti, asciutti e nervosi. Allora Geppetto disse al burattino: - Chiudi gli occhi e dormi! - E Pinocchio chiuse gli occhi e fece finta di dormire. E nel tempo che si fingeva addormentato, Geppetto, con un po’ di colla sciolta in un guscio d’uovo, gli appiccicò i due piedi al loro posto, e glieli appiccicò così bene, che non si vedeva nemmeno il segno dell’attaccatura. Appena il burattino si accorse di avere di nuovo i piedi, saltò giù dalla tavola dove stava disteso, e si mise a fare mille sgambetti e mille capriole, come se fosse impazzito dalla contentezza. - Per ricompensarvi di quanto avete fatto per me - disse Pinocchio al suo babbo - voglio subito andare a scuola. - - Bravo ragazzo mio, bravo. - rispose Geppetto - Ma per andare a scuola ho bisogno prima di tutto di un vestito. - Geppetto, che era povero e non aveva in tasca nemmeno un centesimo, gli fece allora un vestitino di carta fiorita, un paio di scarpe di scorza d’albero e un berrettino di mollica di pane. Pinocchio corse subito a specchiarsi in una bacinella piena d’acqua e rimase così contento di sé, che disse pavoneggiandosi: - Sembro proprio un gran signore! - - È vero. - replicò Geppetto - perché, tienilo a mente Pinocchio, non è il vestito bello che fa il signore, ma è piuttosto il vestito pulito. A proposito, - aggiunse poi - per andare a scuola ti manca ancora qualcosa: anzi ti manca la cosa più importante. - - E cioè? - - Ti manca l’Abbecedario. - - Hai ragione, ma come si fa per averlo? - - È facilissimo: si va dal libraio e si compra. - - E i quattrini? Io non ce li ho. - disse Pinocchio. - Nemmeno io. - concluse il buon vecchio Pinocchio, facendosi triste. E Pinocchio sebbene fosse un ragazzo allegrissimo, si fece triste anche lui: perché la miseria, quando è miseria davvero, la comprendono tutti: anche i ragazzi. - Pazienza! - gridò Geppetto rizzandosi in piedi all´improvviso; e infilatosi la vecchia casacca, tutta rattoppata e ricucita più e più volte, uscì correndo di casa. Dopo poco tornò, e, quando rientrò, aveva in mano l’Abbecedario per il figliuolo, ma la casacca non l’aveva più. Il pover’ uomo era rimasto in maniche di camicia, e fuori era inverno, faceva freddo e nevicava. - E la tua casacca, babbo? - - L’ho venduta. - - Venduta? E perché l’avete venduta? - - Mi faceva troppo caldo. - Pinocchio capì al volo il senso di questa risposta, e non potendo frenare l’impeto del suo buon cuore, saltò al collo di Geppetto e cominciò a baciarlo su tutto il viso.
21. Dezember 2020
LE AVVENTURE DI PINOCCHIO di Carlo Collodi capitolo 7 Geppetto torna a casa, e dà al burattino la colazione che il pover’uomo aveva portato per sé. Il povero Pinocchio, che aveva ancora gli occhi assonnati, non s’era ancora accorto dei piedi tutti bruciati: per cui appena sentì la voce di suo padre, schizzò giù dallo sgabello per correre a tirare il paletto della porta; ma invece, dopo due o tre giravolte, cadde di colpo tutto lungo disteso sul pavimento. E nel battere in terra fece lo stesso rumore, che avrebbe fatto un sacco pieno di pentole, buttato da un quinto piano. - Aprimi! — intanto gridava Geppetto dalla strada. - Babbo mio, non posso.... — rispondeva il burattino piangendo e ruzzolandosi per terra. - Perché non puoi? - - Perché mi hanno mangiato i piedi. - - E chi te li ha mangiati? - - Il gatto babbo. — disse Pinocchio, vedendo il gatto che colle zampine davanti si divertiva a giocare con alcuni trucioli di legno. - Aprimi, ti dico! — ripeté Geppetto — se no, quando vengo in casa, te lo do io il gatto! - - Non posso star dritto, credetelo, Babbo. Oh! Povero me! Povero me, mi toccherà di camminare coi ginocchi per tutta la vita. - Geppetto, credendo che tutti questi piagnistei fossero un’altra monelleria del burattino, pensò bene di farla finita; e arrampicatosi su per il muro, entrò in casa dalla finestra. All´inizio voleva fare e voleva dire; ma poi, quando vide il suo Pinocchio sdraiato in terra e rimasto lì senza piedi per davvero, allora si intenerì; e preso subito il burattino per il collo, cominciò a baciarlo e a fargli mille carezze e mille moine, e, coi lacrimoni che gli scendevano giù per le guance, gli disse singhiozzando: - Pinocchiuccio mio! Ma che cosa ti è successo ai piedini? - - Non lo so, babbo, ma credetelo che è stata una nottataccia d’inferno, e me ne ricorderò finché campo. I tuoni, il vento e io avevo una gran fame, e allora il Grillo-parlante mi disse: «Ti sta bene: sei stato cattivo e te lo meriti» e io gli dissi: «Bada, Grillo!...» e lui mi disse: «Tu sei un burattino e hai la testa di legno» e io gli tirai un manico di martello, e lui morì, ma la colpa fu sua, perché io non volevo ammazzarlo, prova ne sia, che misi un tegamino sulla brace accesa, ma il pulcino scappò fuori e disse: «Arrivederci Signor Pinocchio, … e tanti saluti alla famiglia.» E la fame cresceva sempre, motivo per cui quel vecchino col berretto da notte, affacciandosi alla finestra mi disse: «Fatti sotto e porgi il cappello» e io con quella catinellata d’acqua sul capo, perché il chiedere un po’ di pane non è vergogna, no, non è vergogna, vero? Me ne tornai subito a casa, e perché avevo sempre una gran fame, misi i piedi sul braciere per asciugarmi, e voi siete tornato, e me li sono trovati bruciati, e intanto ho sempre fame, ho sempre fame e i piedi non li ho più! Non ho più i piedi, Babbo, ih!... ih!... ih!... ih!.. - E il povero Pincchio cominciò a piangere e a lamentarsi così forte, che lo sentivano da cinque chilometri lontano. Geppetto, che di tutto quel discorso arruffato aveva capito una cosa sola, cioè che il burattino si sentiva morire di fame, tirò fuori di tasca tre pere, e porgendogliele, disse: - Tieni Pinocchio, queste tre pere erano la mia colazione: ma io te le do volentieri. Mangiale figliolo, e buon appetito. - - Se volete che le mangi, dovete sbucciarle prima. - - Sbucciarle? — replicò Geppetto meravigliato. — Non avrei mai creduto, ragazzo mio, che tu fossi così boccuccia e così delicato di palato. Male! In questo mondo, fin da bambini, bisogna abituarsi a mangiare di tutto, perché non si sa mai quel che ci può capitare. I casi son tanti!... - - Voi dite bene Babbo, sicuramente, — aggiunse Pinocchio — ma io non mangerò mai una frutta, che non sia sbucciata. Le bucce non le posso soffrire. — E quel buon uomo di Geppetto, cavato fuori un coltellino, e armatosi di santa pazienza, sbucciò le tre pere, e pose tutte le bucce sopra un angolo della tavola. Quando Pinocchio in due bocconi ebbe mangiata la prima pera, fece l’atto di buttare via il torsolo; ma Geppetto gli trattenne il braccio dicendogli: - Non lo buttar via: tutto in questo mondo può far comodo. - - Ma io il torsolo non lo mangio davvero!... — gridò il burattino rivoltandosi come una vipera. - Chi lo sa! In questo mondo, i casi sono tanti!... — replicò Geppetto. Fatto sta che i tre torsoli, invece di essere gettati fuori dalla finestra, vennero posati su un angolo della tavola, proprio vicino alle bucce. Mangiate, o, per meglio dire, divorate le tre pere, Pinocchio fece un lunghissimo sbadiglio e poi disse piagnucolando: - io ho ancora fame! - - Ma io, ragazzo mio, non ho più nulla da darti. - - Proprio nulla, nulla? - - Ci avrei soltanto queste bucce e questi torsoli di pera. - - Pazienza! — disse Pinocchio — se non c’è altro, mangerò una buccia. - E cominciò a masticare. All´inizio storse un po’ la bocca: ma poi una dietro l’altra, spolverò in un soffio tutte le bucce; e dopo le bucce anche i torsoli, e quand’ebbe finito di mangiare ogni cosa, si battè tutto contento le mani sul petto, e disse gongolando: - Ah, ahahah, ora sì, che mi sento bene! - - Vedi, dunque, che avevo ragione io, quando ti dicevo che non ci si deve porre né troppo sofisticati né troppo delicati davanti al cibo. Caro Pinocchio mio, non si sa mai quel che ci può capitare... in questo mondo, i casi son tanti!... —
9. August 2020
Testo/Text LE AVVENTURE DI PINOCCHIO di Carlo Collodi capitolo 6 Pinocchio si addormenta coi piedi sul braciere, e la mattina seguente si sveglia coi piedi tutti bruciati. Era una nottataccia infernale, tuonava fortissimo, lampeggiava come se il cielo pigliasse fuoco, e un ventaccio freddo e strapazzone, fischiando rabbiosamente e sollevando un´immensa nuvola di polvere, faceva stridere e cigolare tutti gli alberi della foresta. Pinocchio aveva una gran paura dei tuoni e dei lampi, ma aveva anche una fame da lupi, e la fame era più forte della paura. Per questo motivo accostò l’uscio di casa e prese la strada principale, la strada del paese. Arrivò dopo cento lunghi passi colla lingua fuori e il fiato grosso, come quello di un cane da caccia. Trovò tutto buio e tutto deserto: le botteghe erano chiuse; le porte di casa erano chiuse, le finestre erano chiuse. Tutto nella strada era chiuso, non c´era nemmeno un cane. Sembrava il paese dei morti. Allora Pinocchio, preso dalla disperazione e dalla fame, si attaccò al campanello di una casa e cominciò a scampanellare, dicendo dentro di sè: - Qualcuno si affaccerà, qualcuno si affaccerà! - Difatti si affacciò qualcuno: un vecchio, col berretto da notte in capo, il quale gridò tutto stizzito: - Che cosa volete a quest’ora? - - Che mi faceste il piacere d´un pezzo di pane. - - Aspettate un attimo che torno subito. — rispose il vecchietto, credendo di avere a che fare con uno di quei ragazzacci maleducati che si divertono a suonare di notte ai campanelli delle case per molestare la gente per bene, che vuole semplicemente dormire tranquillamente. Dopo circa mezzo minuto la finestra si riaprì, e la voce del solito vecchietto gridò a Pinocchio: Vieni proprio qui sotto, qui sotto la mia finestra e porgi il cappello. — Pinocchio che non aveva ancora un cappello, si avvicinò e sentì pioversi addosso una catinellata d’acqua che lo annaffiò tutto, dalla testa ai piedi, come se fosse un vaso di gerani appassiti. Tornò a casa tutto bagnato come un pulcino e sfinito dalla stanchezza e dalla fame. Dato che non aveva neanche più la forza di reggersi in piedi, si mise a sedere, appoggiando i piedi fradici e infangati sopra un braciere di terracotta: un braciere di brace accesa. Si addormentò, ma nel dormire i piedi, che erano di legno, gli presero fuoco, e adagio adagio questi gli si carbonizzarono completamente diventando cenere. Pinocchio intanto continuava a dormire e a russare come se quei piedi non gli appartenessero. Finalmente la mattina di buon´ora, si svegliò, perché qualcuno stava bussando alla porta. - Chi è? - rispose Pinocchio sbadigliando e stropicciandosi gli occhi. - Sono io! - rispose una voce. Era la voce di Geppetto.
26. Juli 2020
Testo/Text LE AVVENTURE DI PINOCCHIO di Carlo Collodi capitolo 5 Pinocchio ha fame e cerca un uovo per farsi una frittata; ma sul più bello, la frittata gli vola dalla finestra. Intanto cominciò a farsi notte, e Pinocchio, che non aveva mangiato nulla, sentì lo stomaco borbottare. Ma l’appetito dei ragazzi corre veloce, e infatti, dopo pochi minuti l’appetito diventò fame, e la fame si convertì prestissimo in una fame da lupi. Il povero Pinocchio, affamato come un lupo, corse subito al focolare dove c’era una pentola che bolliva allegramente, provò a scoperchiarla, per vedere che cosa ci fosse dentro: ma vi ricordate? Come abbiamo già detto nel secondo capitolo, la pentola era semplicemente dipinta sul muro. Immaginatevi la reazione di Pinocchio: il suo naso, che era già lungo, gli si allungò di altre quattro dita. Allora si mise a correre per la stanza all´impazzata e a frugare tra tutte le cassette mezze rotte che giacevano al suolo e per tutti i ripostigli della camera in cerca di un pezzo di pane, magari un pezzo di pane secco, quello con la crosta bella croccante; o anche un osso avanzato al cane; o un po’ di polenta ammuffita; o una lisca di pesce; o un ciliegio, un nocciolo di ciliegio... insomma qualunque cosa, qualsiasi cosa buona da masticare, ma non trovò nulla, proprio nulla. E intanto la fame cresceva e cresceva sempre più, e il povero Pinocchio non aveva altro sollievo che fare enormi sbadigli, e questi sbadigli erano così lunghi, che la bocca gli si apriva arrivando fino alle orecchie. E dopo aver sbadigliato, sputava, e si sentiva come se lo stomaco gli andasse in mille pezzi. Allora piangeva e si disperava e diceva: - Il Grillo aveva ragione. Ho fatto male a rivoltarmi al mio povero babbo e a fuggire di casa. Se il mio babbo fosse qui a quest´ora io non mi troverei in questa situazione, a morire di sbadigli. Ah! Che brutta situazione la fame! - Quand’ecco che gli parve di vedere in mezzo alla spazzatura qualche cosa di tondo e bianco, somigliava tutto ad un uovo di gallina. Spiccò un salto e vi si gettò sopra: era un uovo davvero. La gioia del burattino è qui quasi impossibile da descrivere, bisogna immaginarsela. Credendo quasi di essere in un sogno, si girava, rigirava quest’uovo fra le dita, e lo toccava e lo baciava e baciandolo diceva: - E ora come dovrò cuocerlo? Ne farò una frittata! No, meglio cuocerlo nel piatto! Oppure forse sarebbe più saporito se lo friggessi in padella? O se invece lo facessi bollito, così da berlo tutto d´un sorso? Non lo so... la cosa migliore è di cuocerlo nel piatto o nel tegamino: ho troppa voglia di mangiarmelo! - Detto fatto: pose un tegamino sopra la brace accesa, ci mise dentro un goccio d´acqua (in casa non c´era né olio né burro), un goccio d’acqua e quando l’acqua iniziò a fumare, tac! Spezzò il guscio dell’uovo. Ma invece dell´albume e del tuorlo saltellò fuori un pulcino tutto allegro e complimentoso, il quale in segno di ringraziamento disse: - Mille grazie, signor Pinocchio, mille grazie d’avermi risparmiato la fatica di rompere il guscio! Arrivederci signor Pinocchio, arrivederci! Stia bene mi raccomando e tanti saluti alla famiglia! — Ciò detto, il Pulcino distese le ali, e superata la finestra, che era aperta, se ne volò via a perdita d’occhio. Il povero burattino rimase lì come incantato, cogli occhi fissi e la bocca spalancata, e ancora con i gusci dell’uovo in mano. Cominciò a piangere e a strillare, e a battere i piedi in terra per la disperazione, e piangendo diceva: - Eppure il Grillo-parlante aveva ragione! Se non fossi scappato di casa e se il mio babbo fosse qui, ora io non mi troverei qui a morire di fame. Che brutta malattia che è la fame! - E dato che lo stomaco continuava a borbottargli e non sapeva proprio come placarlo, pensò di uscire di casa e di dare un´occhiata al paesello vicino, nella speranza di trovare qualche persona, qualcuno buono di cuore, che gli facesse un po´ di elemosina, almeno un pezzo di pane.
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